Casa Bonatti vent’anni dopo
Nel 1928, nell’editoriale d’apertura del primo numero della rivista Domus, Gio Ponti direttore, focalizza il concetto di casa come contenitore simbolico di un universo interiorizzato “perno di un programma d’architettura con l’ambizione di riformulare la filosofia dell’abitare moderno” (Fulvio Irace, Gio Ponti, Cosmit, 1997). Sono trascorsi più di ottant’anni, la cultura del revisionismo storico ha fatto il suo corso, ma questo intervento di Franco Raggi illumina nuovamente la prospettiva. Perché la chiave di volta per comprenderne l’essenza è tutta qui: il tentativo di rappresentare una casa mai finita e interpretabile da chi la abita, una modernità complessa, una mediazione con la tradizione della grande casa borghese milanese e con il tema della decorazione che riporta il disegno dell’arredo nell’ambito dell’architettura. La ricerca di uno scenario domestico attualizzato, insomma, che riflette anche sulla specularità del ‘raddoppio’ spaziale con un mix di citazioni colte e con valenze molto più pregnanti del mero formalismo del bel design, trovando relazioni con gli aspetti dell’artigianato, della sperimentazione, della qualità dei materiali, degli arredi che sono segni architettonici, pelli, involucri, superfici, finiture e dettagli costruttivi integrati alla struttura della casa.
D’altronde Raggi l’aveva già spiegato a Marco Romanelli nel 1990 quando fu pubblicata l’abitazione prima versione: “La mia è una voglia di comunicare attraverso tempi lunghi, una voglia di qualità non invadenti”. Il messaggio era chiaro: quando si parla di Franco Raggi non si toccano argomenti di décor arredativo più o meno sapiente. Perché prima di tutto lui resta un architetto, un tecnico umanista chiamato a prestare un servizio: definire un contenitore dalla struttura abbastanza solida (in termini di volumi, superfici, colori) da ‘sopportare’ qualsiasi scelta arredativa legittima e autonoma del cliente. Nella fattispecie, il nostro racconto vuole che – da una sorta di trilocale di via Donizetti, dove la mancanza di spazio aveva generato una compattazione flessibile, anche grazie all’utilizzo di porte-parete scorrevoli che disegnavano ambienti dalle dimensioni variabili – si sia passati, tramite l’acquisizione di tutto il piano, alla possibilità di costruire una casa borghese e moderna in senso pieno. Con i suoi generosi spazi comuni e privati reimpaginati secondo una gerarchia definita e compiuta che contempla l’eliminazione dei corridoi a favore di luoghi creati ex novo (dai disimpegni ai vestiboli, alla saletta Tv/HI-FI ricavata nel secondo ingresso non più necessario) e la reinterpretazione di tipologie desuete come l’aristocratico budoir e il funzionale office. “Vent’anni” spiega Raggi “hanno dovuto fare i conti con un’evoluzione non solo del progettista ma anche della committente che ha maturato esigenze di autorappresentazione diverse.
“La mia è una voglia di comunicare attraverso tempi lunghi, una voglia di qualità non invadenti” Per me, a livello creativo e linguistico, da allora è cambiato soltanto che non disegno più io a matita tutti gli esecutivi. E questo comporta che nel progetto del 1989 il disegno di dettaglio è più accurato, più ponderato. Nel progetto di oggi, il rapporto tra il pensiero e il manufatto è più mediato, è prevalsa l’impostazione generale, le scelte strategiche su materiali e articolazione dello spazio”. E se qualcuno ha recentemente dichiarato che “nelle migliori case milanesi un tempo le decisioni non si prendevano nel tinello, ma in sala da pranzo”, questa abitazione ha previsto una “vera” sala da pranzo, dove si fronteggiano alcuni contrasti, come il tavolo con gambe classiche in legno tornito e tecnologico piano sandwich in vetro-tessuto, che si accompagna alle ironiche sedute in plastica trasparente di Philippe Starck e al lampadario di Murano “incontro tra opulenza del vetro soffiato e colore allineati su un minimale solido cromato”.
E poi c’è l’articolato spazio-office concepito come efficiente zona di servizio tra il pranzo e la grande e conviviale cucina dotata di ingresso secondario indipendente. Dall’entrata principale invece “un biglietto da visita” estremamente misurato, “un filtro di decompressione rispetto all’esterno” si raggiunge il living, l’ambiente canonico della socialità, raddoppiato grazie all’accorpamento dei due appartamenti contigui, dove sul pavimento di teak sono state inserite alcune “tracce”; una in acero sottolinea le posizioni del muro demolito, altre a forma di freccia indirizzano verso nuovi percorsi interni. L’innesto di figure leggere e rigorose ha valorizzato la spazialità fluida e aperta dell’ambiente riconducibile alla geometria di un rettangolo che risulta sui quattro lati rispettivamente separato dallo studiolo tramite la grande parete-libreria (eredità del primo intervento) in legno di cedro con parti laccate blu Cina e sopraluce fissi integrati; delimitato dalla sala da pranzo tramite il nuovo armadio-quinta che corregge il disassamento della parete; messo in comunicazione – tramite una superficie apribile con rotazione, un’astratta macchia quadrata verde acido – con l’ambiente dedicato all’home video conquistato nello spazio ampio ma cieco dell’originario ingresso trasformato in una ‘cassaforte’ ovattata, tutta moquette a pelo alto e rivestimento in mattonelle di feltro viola e boiserie in acero; esteso infine lungo il fronte segnato da una regolare serie di aperture sul balcone pensato come micro-giardino con moquette simil prato e tratteggio luminoso a led.
È come se Raggi , una volta risolta dal punto di vista distributivo e di uso la casa restituita con una calibrata successione di stanze, non abbia voluto rinunciarealle possibilità allusive di una decorazione equilibrata e al concetto ispiratore di ogni suo intervento: la volontà di sperimentare che si affida alle capacità sorprendenti di superfici e materiali. Di produzione industriale come gli innovativi laminati Abet a specchio con decori in rilievo, superfici texturizzate che tappezzano le pareti del boudoir moltiplicandone le valenze di contenitore simbolicospazio di memoria affettivo. O di fattura artigianale come le lamiere arrugginite e corrose che rivestono i muri della zona di disimpegno verso gli ambienti notte; o ancora le quinte tessili alte da pavimento a soffitto che sottolineano i passaggi delle porte scorrevoli. Un lusso “ereditato” dall’appartamento precedente è ripreso e ampliato nei generosi bagni, un gioco di superfici specchiate e marmi selezionati tra il prezioso Portoro nero con venature dorate, il Calacatta e il Travertino rosso Persiano. Alla fine soltanto le scelte dei pezzi d’ arredo indicano la varietà degli accenti portata dalla curiosità della committente: il moderno convive con il classico, il minimale con il barocco, le poltrone anni Cinquanta di Franco Albini con il divanetto di Hoffmann, il divano Chesterfield con il pouff capitonné su disegno, una oleografica natura morta con le incursioni esotiche di Fornasetti. “Un compito del progetto non è confermare e omologare uno stile” riconosce Raggi “ma controllare l’eclettismo, la mobilità, l’invadenza, l’attitudine all’accumulo di segni, che rappresentano un carattere spiccato dello scenario figurativo contemporaneo”. Ma i giochi dei contrappunti dinamici indicano il percorso, perché la qualità degli spazi è fatta anche di dialettica con dettagli nascosti che casualmente prendono luce.