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Vincitore di un concorso internazionale del 1997, dopo undici anni di lavori, è stato inaugurato lo scorso marzo il Neues Museum berlinese che accoglierà però solo il prossimo autunno le preziose raccolte egizie e i reperti della preistoria, completando quella formidabile cittadella della cultura costruita dalla sommatoria del Neues con l’Alte National Galerie, del Bode Museum e del Pergamon Museum. Ultimo tassello di quella che è stata definita come l’Acropoli laica berlinese, il Neues è stato oggetto di un intervento di ricostruzione che proprio nel presentarsi ai cittadini – diligentemente disposti in una fila lunga quasi un chilometro – solo nella qualità dei suoi spazi e senza per ora alcuna raccolta museale, ha saputo sottolineare il valore di un metodo, di un approccio architettonico e ‘archeologico’ in grado di porsi come esemplare riferimento per la pratica del ‘costruire sul costruito’ e del confronto con le architetture del passato. Quella del Neues, costruito nel 1859 da Friedrich Stüler e pensata in origine come estensione dell’Altes Museum progettato dal suo maestro Karl Friedrick Schinkel, è un’architettura che è stata dilaniata dai bombardamenti degli alleati e che, lasciata in stato di abbandono nell’ex Berlino-est, ha patito pesantemente l’incuria del tempo.Questi due aspetti sono stati assunti dai progettisti come dei fattori con cui confrontarsi, e che più che essere cancellati da un colpo di spugna di stampo disneyano, di fedele e posticcia ricostruzione stilistica nella logica scenografica del ‘com’era e dov’era’, sono diventati ‘elementi compositivi’ dell’articolato progetto di ricostruzione. Se nel lungo percorso progettuale si può rintracciare una delicata propensione alla rilettura della migliore sensibilità romantica rispetto al tema della rovina, questa diventa in questo caso frammento storico, testimonianza reale del tempo chiamata a confrontarsi con gli eloquenti quanto efficaci innesti del nuovo, geometrie inequivocabili che si allontanano con precisione ed eleganza da ogni rischio di mimetismo con il passato.Il formidabile collage compositivo operato dagli studi Chipperfield e Julian Harrap ha saputo ricondurre ad un unico grande organismo architettonico i frammenti, i brani di intonaco e affreschi che si miscelano come macchie sui muri restaurati e ricostruiti, le colonne ancora perforate dai proiettili e le ricche decorazione sbrecciate e interrotte là dove il tempo le ha segnate. Una trama di tessere raccolte e catalogate per essere ricomposte e affiancate, in una sorprendente sintesi armonica, con il ‘nuovo’ (neues), di cui la lucida simmetrica tensione del grande scalone d’ingresso appare come dichiarazione programmatica, conclusa in modo perfetto dalle preesistenti severe colonne doriche. Non si comprendono le accuse dei puristi: “è la continuazione dei bombardamenti inglesi con altri mezzi”.Piuttosto rintracciamo in questo progetto per Berlino non solo il riuscito risultato di ricostruzione di una grande architettura del passato, ma una nuova metodologia di restauro aperta all’ascolto della memoria e proiettata verso un’idea di modernità che, alla nostalgia, sostituisce l’ottimismo.

 

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