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ANIMA è la prima opera dell’architetto svizzero Bernard Tschumi (tra le sue opere più celebri, il Parc de la Villette a Parigi) in Italia.
Commissionata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno e dal Comune di Grottammare, l’opera nasce con l’obiettivo di favorire l’identificazione del territorio.
Il progetto, la cui inaugurazione è prevista per il 2016, costituisce un futuro punto di riferimento per la città di Grottamare, un generatore di idee per il territorio, inteso sia nella sua dimensione fisica sia nel suo potenziale creativo. Compresa in una zona a margine del tessuto urbano fra il mare e le colline, la nuova opera è caratterizzata da un’elevata flessibilità; i suoi spazi, infatti, sono configurabili in funzione degli eventi.
Il nome, ANIMA, nasce da un acronimo: A come Arte, N come Natura, I come Idee, M come Musica, A come Azione. Sono le “cinque anime” del progetto, che l’architetto ha interpretato come un’identità in divenire. L’opera sarà un catalizzatore di interessi, interazioni, sinergie.
La superficie sulla quale l’architettura si colloca coincide con quella del piccolo centro medievale di Grottammare, poco più di 7.000 metri quadrati. Il progetto si accosta al cuore storico della cittadina non solo nelle dimensioni: richiama, sia all’esterno sia all’interno, il concetto di urbs. All’esterno ANIMA si presenta come un corpo compatto, un quadrato perfetto che, se per certi versi allude a un’idea di chiusura e di protezione, si infrange e dimostra da subito un’elevata permeabilità.
Una riflessione sul tema della facciata è alla base della ricerca che ha portato Bernard Tschumi a una soluzione informale per le grandi pareti verticali che contornano l’edificio e che trova la sua più forte espressione in corrispondenza della parete sud, attraverso la quale si accede al complesso. Una volta entrati nel corpo quadrangolare ci si trova immersi in uno spazio scomposto, in parte interno e in parte esterno.
L’architetto spiega così il progetto:
La complessità di tale spazio è determinata dalla rotazione di un grande volume parallelepipedo che occupa l’area centrale dell’edificio e che contiene la sala principale, con 1.500 posti a sedere, flessibile e configurabile in base alle variabili esigenze di capienza.
La rotazione di questo volume determina un sistema di quattro ampi cortili, verso ciascuno dei quali la sala principale ha la possibilità di aprirsi definendo un sistema fluido e dinamico di percorsi fisici e visivi. Inoltre, un articolato sistema di rampe permette di muoversi all’interno di questo ambiente eterogeneo e mobile, osservandolo da prospettive e altezze continuamente variabili. Adiacenti alla sala principale e ad essi spettacolarmente collegati attraverso una molteplicità di percorsi in quota sono disposti i laboratori, gli uffici, il caffè-ristorante, gli spazi accessori.
È possibile progettare una facciata senza fare ricorso a una composizione formale? È possibile fare in modo che non sia né astratta né figurativa ma, per così dire, senza forma? In un’epoca di crisi economica, indulgere in geometrie formali prodotte da complesse curve volumetriche non ci è sembrata una scelta responsabile. L’epoca del cosiddetto ‘iconismo’ sembra terminata, insieme alle figure scultoree arbitrarie del passato recente”.
“Piuttosto che aggiungere una nuova autonoma e iconica figura scultorea, abbiamo deciso di indagare interazione, semplicità e sobrietà. L’organizzazione interna degli spazi era socialmente e culturalmente importante, ma che l’immagine esterna del progetto era altrettanto significativa. Per questo abbiamo concepito una semplice pianta quadrata con quattro facciate equivalenti e, come copertura, una quinta facciata. Ciascuna facciata ha un suo vocabolario così da permettere di affrontare temi come la protezione dal sole, l’illuminazione naturale, la ventilazione e al tempo stesso proiettare una forte identità sul mondo esterno.